“Pronto? Ciao Anita.”
“Buongiorno Sig. Lako, che piacere la sua chiamata.”
“Chiamami Bujo, per favore. Ho letto la tua sceneggiatura e l’ho trovata bellissima, poetica e non ho potuto non amare il personaggio di Ibrahim, il ruolo che hai pensato per me. Allora ci vediamo l’8, ti vengo a prendere all’aeroporto. La mia è una macchina piccola, ti dispiace se ti vengo a prendere con quella?” mi chiede.
“Ma no, figurati, anzi, grazie mille per la tua disponibilità.”
Venerdì 8 giugno 2012, dopo quasi 15 anni che avevo lasciato il mio Paese natale, decido di fare ritorno in Albania. Quando la portiera dell’aereo si apre, mi si stringe lo stomaco per l’emozione. Le gambe mi si muovono con fatica. Mi affaccio dall’uscio della carlinga ed il profumo mi avviluppa in un abbraccio, silenzioso. Sono tornata a casa. Poi, con la mia piccola valigia mi avvio verso la dogana, di quella linea invisibile che ci divide dall’UE.
“Ecco, la mia carta d’identità” dico al poliziotto. Lui mi guarda, e mi fa un sorriso. Poi con un tono di voce basso, mi dice “Bentornata signorina Likmeta.” Nell’atrio dell’aeroporto mi guardo intorno. Non vedo nessuno che conosco, tuttavia le facce mi suonano come familiari.
“Anita, sono qui. Girati!” una bellissima voce, mi chiama. È lui, Bujar Lako.
Gli vado incontro, lui mi abbraccia paternalmente, ma io sono molto timida e ancora troppo incredula di essere tornata nello stesso Paese dal quale, tanti anni prima, ero scappata.
“Bujo, grazie per essermi venuto a prendere. Sei molto gentile.”
“Non potevo lasciarti sola.” ed io, sempre più timida, accenno ad un sorriso, seduta accanto alla sua macchina color arancio.
Poi, la strada verso la capitale. Abbasso il finestrino, e osservo tutti quei cartelloni. Tutto è così diverso qui.
“È cambiato, vero?” mi chiede lui. “Non è più come te lo ricordi, immagino.” aggiunge.
Con le lacrime agli occhi, accenno un “sì”. Allora lui, mi appoggia una mano sulla testa, come fanno i padri con le loro figlie, il padre che io non ho mai avuto. Rimane in silenzio, aspettando che io dica qualcosa.
“Mi si stringe il cuore se ti vedo così. Dai che stasera ti porto a mangiare cibo albanese, la cucina italiana la mangerai quando rientri a Roma.”
Arrivati in centro a Tirana, lascio la valigia in albergo, per poi scendere di nuovo e andare a fare un giro per la città. Ci fermiamo ad un Bar in centro. Ci sediamo.
“Un succo di frutta per me.” dice Bujo al cameriere, “lo stesso, grazie” chiedo al cameriere.
“Allora, dimmi un po’: sei appena tornata dalla Francia, ti stai laureando, mi hanno dette cose belle di te.” mi dice sorridendo.
“Faccio quello che mi piace, non sempre è facile. Come questa sceneggiatura.” gli dico, e mentre cerco di scrollarmi l’imbarazzo, una sagoma di uomo ci raggiunge.
“Eccolo, lui è il grande Dritan Huqi, un giovane produttore che stimo molto.” dice Bujo, con gli occhi pieni di fierezza per il suo amico.
“Allora Dritan, dovresti leggere la sceneggiatura di Anita, è piena di poesia. Sarà un bel film. Il mio ruolo è quello del nonno della bambina, la protagonista. Dai Anita, leggi una piccola parte, ti prego.”
Apro la sceneggiatura, e vado a leggermi la parte finale del film, che è un monologo. Passano circa 5 minuti, e quando alzo la testa chiudendo l’ultima frase del monologo, Bujo ha gli occhi pieni di lacrime. Poi la sera scende su Tirana, quando la preghiera dell’Imam suona il suo rituale in tutta la città. Sabato 9 giugno 2012. Sono le 7 del mattino, e io sono già nel bar dell’albergo a fare colazione. Bujo mi raggiunge, ha portato con sé un grande libro.
“Eccoti, questo è un libro che hanno pubblicato, e dove è riportata tutta la mia carriera.” dice lui mentre me lo autografa.
“Allora facciamo così, scriverò anch’io qualcosa qui accanto, perché mi voglio ricordare di questo giorno per sempre.” gli dico, e prendo a scrivere.
Bujo mi porta a vedere il teatro Nazionale di Tirana, poi tutto il Boulevard, le viuzze della città. Sono meravigliata nel vedere case che cadono a pezzi, accanto ai palazzi magnifici.
“Io penso che c’è ancora molto da fare qui in Albania. Personalmente credo che la diaspora albanese darà comunque i suoi frutti, vedrai che nel tempo molti rientreranno portando con sé le loro esperienze e capacità. Io credo che l’Albania giocherà sempre un ruolo importante nella politica estera. Così lo é stato nel passato, e continuerà ad esserlo.” dice Bujo.
“Non é semplice pensare di rientrare per me, come non lo credo lo sia per tutti gli altri. Ognuno di noi si è costruito una vita altrove, e ricominciare daccapo sarebbe traumatico per me; ho investito tutta la mia vita ad integrarmi in Italia, e l’ho fatto non soltanto attraverso la cittadinanza che ho appena acquisito, ma proprio ho incorporato quella cultura, l’ho fatta mia. Il mio modo di ragionare è frutto del mio viaggio in Italia e poi in Francia.” rispondo.
“Lo capisco. Ma sai Anita, prima o poi, nella vita, si ritorna sempre da dove si è partiti. Si torna sempre a casa.” dice lui, e poi scuote la testa, burlandosi di me.
La giornata continua tra discussioni politiche accese, e le storie di grandi attori. Poi Bujo convince il suo amico Dritan ad accompagnarci fino al paese dove sono cresciuta. Arriviamo a Maminas; la strada è completamente diversa, saliamo verso Bilalas fino ad arrivare a Rrubjekë. Scendo dalla macchina.
“Bujo, non posso andare senza portare un mazzo di fiori.”
Bujo si aggira per la piazza, e assieme, troviamo un piccolo negozio che vende dei fiori, anche se di plastica. Felice di aver trovato quel piccolo dono, mi avvio verso il cimitero, mentre Bujo e Dritan rimangono fuori ad aspettarmi. Sono rapita da un fiume di lacrime nel vedere quel camposanto abitato da così tante persone che avevano riempito con la loro presenza la mia infanzia. Dopo 15 minuti circa, poggio i fiori sulle tombe dei nonni, e raggiungo la macchina.
Dritan si mette alla guida, Bujo gli è seduto accanto mentre io sono sul sedile posteriore; ancora non riesco a smettere di piangere mentre ricordo i miei nonni. Raggiungiamo Lalsi dove pranziamo. Qui, a Lalsi, è pieno di palazzi in costruzione; vedo il mare, e si mangia benissimo. Finito di mangiare, Bujo vuole che andiamo anche a Durazzo. Si sta facendo buio, ma lui me lo aveva promesso, e non vuole venire meno alla sua parola.
Durazzo. È sera. Piena di gioventù, la città è completamente diversa rispetto a come l’ho lasciata io nel 1997. Un lungo giro, e siamo pronti per rientrare a Tirana. Ho viaggiato per la prima volta sull’autostrada Tirana-Durazzo: non ci sono più le buche che ricordavo. Ad ogni chilometro che faccio, vedo fabbriche, soprattutto italiane. Durante il viaggio, Bujo mi racconta un po’ la storia post anni ’90.
Bujo non si stanca mai di ripetere quanto importante sia la democrazia e il viaggio verso la Comunità Europea; non lo ritiene una opzione, ma l’unica possibilità credibile da percorrere per un Paese come l’Albania. Bujo crede nell’integrazione, nel multiculturalismo, crede nel viaggio dell’individuo come l’unico modo per vincere se stessi. Una volta raggiunta Tirana, vengo accompagnata in albergo.
“Allora, fai un buon viaggio di rientro. Poi ci sentiamo con calma per parlare del film. Continua ad essere come sei, e sorridi più spesso, perché sei bella; non nasconderti. Per qualsiasi cosa, Bujo c’è.” mi dice, e poi mi stringe in un abbraccio eterno. Vado a dormire.
Al risveglio, sono le 5 del mattino, chiamo un taxi che poi mi porta all’aeroporto. All’arrivo in dogana, il cellulare vibra, un messaggio:
“Cara Anita, grazie per essere venuta fino a qui. Ho apprezzato ogni momento che abbiamo trascorso in questi due giorni. Leggere la tua sceneggiatura, mi ha aiutato a capire la persona che sei. Lo so che potrei sembrare fuori luogo, ma io credo che ogni uomo avrebbe voluto avere una figlia come te. Sei in gamba e talentuosa; sei piena di luce. Non cambiare mai. Ognuno di noi ha i suoi demoni da combattere, le sue partite da vincere, la sua vita da compiere, ma ti prego, e te lo chiedo da padre, non lasciare mai che la vita ti indurisca. Continua a lottare, perché tutto andrà bene.”
Buon viaggio a te Bujo, e grazie per essere stato per me, in tutti questi anni, il padre che non ho mai avuto.
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