Chi è Ekland Hasa, da dove viene?
Sono un pianista nato il 15 novembre 1966 a Tirana.
Qual è stato il tuo percorso di studio?
Il mio percorso parte ovviamente a Tirana in Albania dove ho frequentato il liceo artistico Jordan Misja dove ho avuto come docente Pranvera Xhiorxhi, per poi proseguire gli studi all’Università delle Arti a Tirana dove ho avuto l’onore di avere come professoressa la grande Anita Tartari.
In cosa ti sei specializzato?
Fondamentalmente io sono un pianista, un interprete del pianoforte. Ho scritto anche delle opere stile pop, ho realizzato una colonna sonora e alcune romanze vocali ma nonostante ciò non riesco a definirmi un compositore. Scrivere musica ed essere un compositore sono due cose diverse per me. Ultimamente ho lavorato molto facendo il maestro sostituto che significa essere un preparatore di cantanti lirici.
Sei figlio d’arte, ho letto.
Diciamo che la mia famiglia mangia pane e musica! Mio padre faceva parte del corpo di ballo al Teatro dell’Opera a Tirana, mentre mia madre è una violoncellista. Mio fratello Redi è uno dei violoncellisti più richiesti al mondo, infine mia moglie che è una cantante lirica.
Insomma, non siete una famiglia silenziosa…
Ah ovviamente non posso non menzionare mio figlio il quale, seguendo le orme della famiglia ma questo senza essere mai condizionato da noi, studia musica ed è molto appassionato del melodramma.
Quali sono stati i tuoi Maestri principali nel percorso che hai fatto in Albania?
I miei maestri in Albania sono stati Lali Gabeci, Pranvera Xhiorxhi ed Anita Tartari e Ludwig Hoffman che aveva un suo gruppo artistico. Tutti loro hanno lasciato in me un’impronta indelebile. Se posso essere fiero di chi sono diventato oggi certamente il merito va a questi maestri che ho appena elencato.
Beh, diciamo anche alla tua forza di volontà, si può dire.
(sorride)
La tua storia è speciale, tu come molti, durante gli anni ’90, sei emigrato in Italia. Cosa ti ricordi di quel periodo?
Sono partito per l’Italia insieme ad un gruppo di artisti con permessi regolari. Me lo ricordo molto bene quel giorno. Era il 15 di novembre del 1991, il giorno del mio compleanno. Urca se faceva freddo! Mi sentivo spaesato, ma non ricordo di aver avuto paura, ricordo l’ansia, quella maledetta agitazione che mi attanagliava dentro. I secondi erano ore, i minuti settimane, le ore mesi. Un viaggio che non finiva più. In compenso con me c’erano compagni di viaggio che conoscevo bene. Kledi Kadiu, Ilir Shaqiri, Gaqo Cako e altri colleghi artisti i quali festeggiarono il mio compleanno regalandomi sorrisi e pacche sulla spalla perché tutti quelli notte guadavamo l’un l’altro negli occhi coscienziosi e decisi che in Albania non avremmo fatto più ritorno. Un viaggio doloroso, quello di tutti noi, ma indispensabile. L’Albania degli anni ’90 era un Paese invivibile.
Sei partito solo?
Io all’epoca partii con la mia fidanzata che poi è diventata mia moglie.
Hai scelto di fermarti in Italia, eppure un talento e professionista come te poteva correre verso Paesi più fecondi, più redditizi. Perché questa scelta?
Semplice la risposta: l’Italia era il Paese più vicino a noi. Un Paese molto simile sotto il profilo geografico climatico ma poi molto diversa dal punto di vista culturale e mentalità. Oggi mi rallegro quando penso che le cose sono cambiate nel giro di 26 anni.
Hai trovato subito lavoro nella tua professione oppure hai faticato facendo altro nei primi anni?
Grazie ad alcuni amici, ai quali sarò grato per sempre, trovai lavoro subito. Iniziai a dare lezioni private di pianoforte. Poi, in quel periodo, cominciai a suonare tanta musica Jazz, un genere che a me era sconosciuto perché non accettato durante il Comunismo in Albania. Il Jazz è stato bandito in Albania per tanto tempo, ricordo molto bene quando alla undicesima manifestazione della canzone albanese vennero bloccati coloro che volevano presenziare con questo genere. Tempo addietro mia moglie mi fece capire che forse avremmo dovuto proporre questo genere, almeno fare il tentativo, al Teatro Nazionale di Tirana. Presi coraggio, grazie anche alla meravigliosa donna che ho accanto, e preparai un concerto e per mio stupore la cosa ebbe un successo enorme. Mi sono appassionato tantissimo al Jazz tanto che l’ho suonato per anni imparando moltissimo dai grandi jazzisti italiani, senza dimenticare ovviamente il mio primo amore: la musica classica.
Ormai è noto a tutti che tu, oggi, sei uno delle certezze di Albano Carrisi, come è stato il vostro incontro?
Ho conosciuto Albano Carrisi nei primi anni del 2000. Un mio amico, un violoncellista, mi disse che Albano stava cercando un bravo insegnante per sua figlia Cristel. Il mio amico mi chiese se fossi interessato al lavoro. Ovviamente, d’impulso, accettai subito! Ora ti racconto una cosa.
(Ekland si mette a ridere)
Ho rischiato di cadere dall’albero e di farmi male sul serio quando Albano venne in concerto in Albania. Cosa che non avrei dovuto fare e che non rifarei mai per nessuno.
(E continua a ridere)
Ero un ragazzo. Insomma, ricordo che mi sono presentato a casa di Albano e lui con modi molto discreti mi chiese di suonare e fargli sentire qualcosa del mio repertorio classico. Mi sedetti davanti al pianoforte, e quando la mia mano prese da se ad accarezzare quel meraviglioso strumento da cui fuoriuscirono le prime due note Albano mi fermò e mi disse: “Quando puoi iniziare a impartire lezioni a Cristel?”.
Negli anni, in Italia, ti sei affermato diventando uno dei pianisti più stimati e amati sia dal grande pubblico che dall’ambiente underground e quello d’êlite. Cosa pensi quando ti fermi a ricordare il viaggio che ti ha portato fino a qui? Quali i dolori? Quali le speranze?
Io rifarei tutto quello che ho fatto. Non è semplice realizzarsi nel campo musicale, per non parlare di riuscire a mantenersi anche economicamente con quello. Credo però che con la costanza, l’umiltà e la perseveranza ognuno può penetrare il proprio l’obiettivo. Per me fare il musicista è un’esperienza di vita bellissima, non c’è nulla al mondo a cui posso paragonarlo. Per me non c’è nulla di più bello di quello regalarmi attraverso la mia arte alle persone, credo sia l’obiettivo di chiunque faccia questo mestiere. Dico sempre che l’artista è un poveraccio che fa la vita da ricco!
Come vedi l’Albania oggi? Pensi mai di ritornare a viverci?
In una parola “work-in-progress”. L’Albania è un Paese in evidente crescita economica e culturale, ogni volta che faccio ritorno per lavoro la trovo sempre più diversa, poi non so effettivamente come è viverci in pianta stabile.
E degli albanesi, cosa ne pensi?
Trovo che gli albanesi che sono emigrati negli anni ’90 continuano a conservare nella loro intimità familiare i valori della cultura albanese, mentre quelli che sono rimasti li trovo un po’ cambiati, alcuni nel bene e altri peggiorati.
E l’Italia. Come vivi oggi il Bel Paese?
Sento spesso dire che l’Italia era un Paese bellissimo negli anni 60’ e ’70 e ’80, mentre oggi, come tanti Paesi europei, si trova a far fronte a problematiche che riguardano un po’ tutti i Paesi dell’Eurozona. Poi credo che ogni periodo di difficoltà è anche una grande possibilità per crescere, imparare e magari scoprirsi più forti.
Sei Direttore di un piccolo ma importante Teatro a Lecce. Raccontaci questa esperienza?
Devo precisare: ho diretto il teatro dal punto di vista artistico ma ho avuto anche l’occasione di organizzare diversi spettacoli da sovrintendente culturale. È una responsabilità enorme, ma come dicevo prima, in Italia oggi è tutto molto difficile a causa di una burocrazia asfissiante, quando si tratta di scadenze e magari salti o ti dimentichi ritardando di un giorno finisci che devi pagare la mora ma quando si tratta che devi percepire un compenso dalle istituzioni può accadere di aspettare anche quasi due anni. Questo non aiuta, non ti motiva a fare sicché comprendo le ragioni di coloro, giovani e non, che tentano la fortuna in Paesi più elastici e propensi ad aiutare a far crescere il cittadino.
Che rapporto hai con i tuoi connazionali?
Sono molto fortunato perché ho avuto l’occasione di coltivare le mie amicizie sin dall’adolescenza, oggi molti di loro sono riusciti a realizzarsi nella vita, nell’arte e questo non può che rendermi molto felice. L’amicizia per me è un grande valore e mi sento amato almeno quanto amo e credo che sia questo il senso più profondo della vita.
L’Albania ha perso una delle sue icone più grandi. Bujar Lako. Voi eravate molto amici. Come hai saputo e come vivi la sua scomparsa?
Bujo! Parlare di Bujar Lako mi è estremamente difficile. Io ho avuto legame molto importante, molto forte, con la famiglia Lako in quanto sua moglie Mira Lako è stata la mia prima insegnante di solfeggio nonché amica di mia madre.
Bujo non era solo amico mio, ma era l’amico di tutti gli albanesi. Bujo era onesto, sensibile, professionale, amabile, umano, rispettoso, un talento immenso. Bujo viveva per la sua arte, amava sua moglie Mira e suo figlio Bojken, la sua famiglia. Ci sentiamo tutti un po’ orfani senza di lui, ma io credo che Bujo è e rimarrà sempre nei paraggi, ad osservare come era solito fare, a scrutare le vite degli altri, a vegliare su di noi. Attraverso i suoi film vivremmo sempre la sua grandezza e umanità, la profondità di questo grandissimo artista.
Ci puoi raccontare un episodio di vita con lui che ti porterai per sempre nel cuore?
Ricordo l’ultima voce a Lecce, parlammo per ore e ore della cinematografia e lui che attraverso la sua magnetica voce mi raccontava di aneddoti, di storie, di Robert De Niro, di Al Pacino e tantissimi altri. La cosa che mi colpì in quella conversazione fu quando mi raccontò che non aveva mai preso parte alla Prémiere di un suo film perché non riusciva a reggere l’emozione.
Quali i tuoi progetti nel futuro prossimo? Ti vedremo di più in concerti oppure teatri?
Con il beneplacito del buon Dio continuerò a fare concerti in giro per il mondo finché potrò. Quest’anno, per esempio, lavorerò in Giappone, in Cina, in Europa e naturalmente in Albania che continua a darmi grandi soddisfazioni come quella del concerto dei “Tre Tenori” organizzato da Tullumani Produksion. Prossimamente rientrerò in patria, su invito del nostro grande tenore di fama mondiale Josif Gjipali, per un concerto in onore del decimo anniversario dell’ospedale americano a Tirana.
Infine, cosa si augura per il futuro Ekland, un uomo che può dire di avere avuto due vite, diviso tra Oriente e Occidente.
Mi auguro la felicità, spero di poter continuare a fare il mio mestiere, mi auguro di regalare pace e sorrisi ai miei spettatori.
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