di Gëzim Qadraku
Nella giornata di giovedì 31 agosto, l’Alto rappresentante dell’Unione Europea, Federica Mogherini, ha ospitato a Bruxelles i presidenti di Kosovo e Serbia, Hashim Thaci e Aleksandar Vučić, per un incontro informale. L’obiettivo, primario e fondamentale, è quello di rilanciare nella miglior maniera possibile il dialogo tra i due Paesi.
L’incontro stabilisce un nuovo inizio nella storia dell’intesa tra il Kosovo e la Serbia e segue quello del 3 luglio, che fu fondamentale, in quanto rappresentò la ripresa del dialogo, interrotto nei mesi precedenti. Entrambe le parti hanno concordato i passi definitivi per l’attuazione dell’accordo di giustizia raggiunto nell’ambito del dialogo facilitato dall’UE. Accordo che sarà pienamente attuato nella giornata del 17 ottobre 2017, nella quale giudici, procuratori e personale giudiziario saranno integrati nel sistema giudiziario del Kosovo. Alla conclusione dell’incontro, sia l’Alto rappresentante dell’UE che il presidente Thaci, hanno rilasciato importanti dichiarazioni ottimistiche, alle quali hanno seguito le parole di Vucic, più caute rispetto ai suoi colleghi:
Per quanto piccola, esiste una possibilità di risolvere la storica questione tra serbi e albanesi, ed è nostro dovere provarci fino in fondo.
Pochissimi i miglioramenti dal 2013, quando venne lanciato dall’UE il processo di normalizzazione tra i due Stati balcanici, mentre allo stesso tempo, troppe sono state le questioni che hanno portato Prishtina e Belgrado allo scontro negli ultimi anni. In questo 2017 soprattutto, diversi sono stati i motivi di contestazione tra serbi e gli albanesi del Kosovo.
L’anno solare è iniziato nel peggiore dei modi, con l’arresto dell’ex generale dell’Esercito di liberazione kosovaro (Uçk) ed ex ministro, Ramush Haradinaj. Il politico kosovaro è stato arrestato dalle forze dell’ordine francesi su mandato di cattura spiccato dalla Serbia, per aver torturato e assassinato una cinquantina di persone durante la guerra. Tale avvenimento ha dato vita ai primi importanti attriti tra Prishtina e Belgrado. Se da una parte i serbi chiedevano l’estradizione di Haradinaj, dall’altra parte il Kosovo insorgeva contro il nemico, e tutti i partiti del Parlamento kosovaro votavano la sospensione del processo di normalizzazione dei rapporti con Belgrado, fino a quando non sarebbe stato rilasciato Haradinaj. Mentre la tensione cresceva e le elezioni in Serbia si avvicinavano, dalla stazione di Belgrado partiva un treno diretto per Kosova Mitrovica – la principale città dei serbi del Kosovo. Un convoglio piuttosto particolare, in quanto era stato completamente tappezzato di immagini e simboli rappresentanti la cultura serba e la religione ortodossa, e all’esterno vi era la frase “Kosovo è Serbia” scritta in ben 21 lingue, anche in albanese.
Le forze dell’ordine kosovare impedirono al treno di oltrepassare il confine serbo e le tensioni non fecero altro che accrescersi, portando addirittura al pensiero di un possibile ritorno alle armi. Inoltre, sempre nel mese di gennaio, nella città di Mitrovica la parte serba eresse un muro di fronte al ponte che collega la parte nord della città, abitata dai serbi, alla parte sud abitata dagli albanesi. Fu necessario l’intervento dei rappresentanti dell’Unione Europea, affinché il muro venisse demolito dalla parte serba, autore della costruzione, la quale come contropartita chiese però più impegno da parte di Prishtina affinché venisse istituita l’Associazione delle municipalità a maggioranza serba, che permetterebbe alla minoranza serba di avere una autonomia locale. Uno dei punti cruciali degli accordi di Bruxelles del 2013.
Il Kosovo, dal canto suo, vive uno dei peggiori momenti dopo l’indipendenza. Nel mese di maggio il Parlamento kosovaro ha votato la mozione di sfiducia nei confronti del governo di Isa Mustafa. Ponendo così la parola fine all’alleanza tra il Partito Democratico del Kosovo (PDK) e la Lega Democratica del Kosovo (LDK). Le elezioni dell’11 giugno non hanno fatto altro che complicare la situazione, in quanto il maggior numero di voti, 33%, è stato raggiunto dalla coalizione formata tra il PDK di Kadri Veseli, l’AAK di Ramush Haradinaj e NISMA di Fatmir Limaj. La grande sorpresa è stata il partito nazionalista Vetevendosje, capace di raggiungere il 27% dei voti, diventando così il partito singolo più forte del Kosovo. Dopo tre mesi di stallo politico, la situazione si è finalmente risolta, ma ciò non può essere considerata una buona notizia. La formazione del governo è stata possibile solo grazie al voltafaccia del milionario Behgjet Pacolli, che durante la scorsa settimana ha deciso di accordarsi con la coalizione che ha ottenuto la maggioranza dei voti, con la promessa di diventare il presidente del Kosovo nel 2021, anno di fine mandato di Thaci.
Nella giornata di giovedì è arrivata l’elezione di Kadri Veseli come capo del Parlamento e il Presidente Thaci ha conferito a Ramush Haradinaj il compito di formare il nuovo governo. Un governo formatosi sabato, grazie al minimo dei voti, ovvero quello di 61 parlamentari. Esecutivo che sale al potere con un numero risicato, che significherà soltanto una cosa, forte instabilità. Curioso come il ruolo decisivo nella giornata di sabato sia stato dalla minoranza serba, che prima di votare ha chiesto a Belgrado come muoversi. Dalla capitale serba è arrivato l’ok riguardo al governo Haradinaj, l’uomo sul quale pende ancora un mandato di cattura a Belgrado. Inoltre, ben quattro membri del partito serbo sono stati scelti come ministri del gabinetto Haradinaj.
Tanta incoerenza in questo possibile nuovo inizio. Il Kosovo, dopo ben nove anni di indipendenza, si trova ancora in un pantano vergognoso, con due importantissimi questioni da risolvere, quella della demarcazione dei confini con il Montenegro, condizione ultima richiesta da Bruxelles affinché si possa risolvere un’altra delicatissima questione, la liberalizzazione dei visti per i cittadini kosovari. Unici della penisola balcanica ai quali non è consentito muoversi al di fuori dei propri confini senza un visto.
Disoccupazione a livelli gravissimi, le paghe bassissime di chi un posto ce l’ha, forte corruzione, sistema sanitario fallace, sono i motivi principali che stanno portando, di nuovo, molti kosovari ad abbandonare la propria terra e cercare fortuna all’estero. La Germania è l’obiettivo di molti, che non sanno, o fanno finta di non sapere, che la loro richiesta di asilo non verrà accettata da nessuno Stato europeo, vista la mancanza delle condizioni che prevede la possibilità di chiedere asilo. Si rischia di ripetere quello che accadde tra il 2014-15, quando circa 100mila persone tentarono di lasciare il Kosovo. Il tempo passa, ma di miglioramenti effettivi non c’è traccia.
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