di Ivano Mugnaini
Montalianamente, inizio dicendo ciò che questo libro non è e non vuole. Non è un libro ideologico, o meglio, non è un libro fazioso costruito su granitiche certezze che vengono fatte cadere una dopo l’altra sulla testa del lettore per spaventarlo e convincerlo a dire sì, è tutto vero. Non è una prosa poetica e non contiene favole ben scritte ma impalpabili, esteticamente impeccabili ma vuote come certe acconciature cotonate e laccate ad oltranza. Non è un libro che vuole farci ingurgitare pozioni magiche e panacee, non somiglia né ad una lunga predica né ad una di quelle televendite a metà strada tra l’Oroscopo del mago cialtronescamente improvvisato e l’elisir di lunga vita che fa campare fino a centoventisei anni e fa anche ricrescere i capelli.
È un libro (e finalmente siamo al segno più, alla pars construens) che ci racconta una storia vera, documentata. Una storia di cui tutti noi siamo personaggi, siamo parte integrante della vicenda e dell’azione ed ogni gesto, ogni scelta, che lo vogliamo o meno, ha un peso sulla trama, la influenza, la orienta, la determina. Queste pagine ci dicono, anzi ci fanno vedere, tramite i racconti e i resoconti basati su fatti oggettivi, dati e statistiche, che mentre il presente si crogiola nella sabbia melmosa di minuscole beghe di potere per una sedia in più e mentre i politici si azzuffano, verbalmente e non solo, in misere sfide all’Ok Corral, il mondo, letteralmente, crolla. Fisicamente e metaforicamente. Si sfaldano i ghiacciai e franano i terreni, collassano i mercati e le finanze di intere nazioni, si dissolvono modi di vita, di convivenza, di solidarietà tra esseri umani. E loro litigano per un selfie o per un aggettivo scritto in un tweet.
Qualcuno potrebbe dire, lasciamoli nel loro brodo. Lasciamo che si azzannino tra di loro e sbraitino e sbavino, tanto alla fine escono di scena uno dopo l’altro. Atteggiamento psicologicamente comprensibile ma estremamente deleterio e con un micidiale effetto boomerang. È qui che entra in ballo il titolo del libro, La tua patria è il mondo intero. Ci è utile come punto di riferimento, è la nostra stella polare mentre scorriamo le pagine. Serve sia a ricordarci costantemente la nostra posizione sia a tracciare una rotta, la sola possibile. Se la nostra patria è il mondo intero, non possiamo lasciarli nel loro brodo. Non possiamo osservare il mondo come spettatori distratti o come turisti per caso. Perché non c’è un altro luogo dove andare, non c’è un continente diverso, ancora vergine, inesplorato. Siamo noi questo mondo, questo attimo che viviamo. E il nostro mondo e il nostro tempo sono il risultato di una lunga serie di azioni e reazioni che si sono susseguite nel corso dei secoli, sono ciò che è stato generato e plasmato dagli uomini che hanno osato dire e pensare che le cose non potevano restare come erano, e che loro, i potenti, non potevano essere lasciati a divorare e ad avvelenare un brodo che in realtà non è il loro.
Non è facile estrapolare brani da questo libro. Non perché non ve ne siano di rilevanti, ma, piuttosto, per il problema contrario: ogni pagina ha un peso, una rilevanza su un discorso che si estende gradualmente, partendo da apparenti dettagli che in realtà assumono una funzione esplicativa (e anche una forza emozionale) che li colloca in primo piano e così via, in un alternarsi costante di riferimenti e notizie che arricchiscono il discorso senza mai appesantirlo, senza diventare orpelli o ornamenti. Dopo il titolo del libro, non ci troviamo di fronte ad un paragrafo bensì ad un’immagine: la foto del Giardino Zoologico di Berlino. Veniamo informati immediatamente dopo che il Giardino è stato “aperto al pubblico nel 1906. Il cancello d’ingresso unisce colonne ioniche e inferriate belle époque a motivi tradizionali e a una pianificazione cinese dei giardini. Cinque anni più tardi, nel 1911, la dinastia dei Qing viene deposta da una rivoluzione popolare. La nuova Repubblica cinese sancisce il tramonto di tremila anni di storia imperiale”. I due elementi che emergono da questo primo impatto con il libro sono essenzialmente due: l’apparato iconografico, espressione visiva della volontà di documentarsi e di documentare, e, sul piano del contenuto, la descrizione immediata, tramite un esempio concreto, del tema, del focus del volume: il cambiamento, la trasformazione, costante, universale, nel tempo e nello spazio. “Ci troviamo, tutti quanti – sostiene Marsili – nel Giardino Zoologico di Pechino. Chi in una gabbia più grande, chi in una più piccola, chi in una gabbia più comoda, chi in una più sfortunata. Ma tutti quanti alla mercé di una straordinaria trasformazione storica, economica, morale e culturale che non siamo più noi, nessuno di noi, a guidare e governare. È un mondo divenuto colonia di se stesso, incapace di scegliere in autonomia e costretto ad inseguire eventi che paiono emanare da un oramai inesistente centro imperiale”.
Il libro è diviso in capitoli, ciascuno a sua volta suddiviso in paragrafi o sottosezioni, contraddistinte da un titolo, quasi sempre sintetico, essenziale, sia nella forma che nella sostanza. C’è la determinazione, il desiderio sincero, di rendere la comunicazione schietta, sincera. Se ogni interazione dialogica è una partita a scacchi, o un incontro di scherma o di lotta libera, tra un’opinione e un’idea contrapposta, tra una visione del mondo e quella contraria, orientata da e verso prospettive altre, qui si tende a rendere il gioco più leale possibile, vige la regola aurea del fair play.
Non è un thriller, questo libro. O meglio non ci vuole spaventare per il gusto di farlo, così, per mero divertimento e gusto dello spettacolo. Assomiglia, piuttosto, ad una docufiction, i cui personaggi sono gli eventi e in cui gli eventi sono le decisioni, spesso tragiche, prese da personaggi messi al potere da un regista incapace o in malafede, o da milioni di registi ignari, tragicamente disinformati: “Oramai sappiamo non solamente che i cambiamenti climatici sono reali – prosegue Marsili – ma che da questi dipendono l’organizzazione e la sopravvivenza stessa della comunità umana. È evidente come nessuno Stato nazionale sia in grado di affrontare e governare tale sfida. Ma c’è di più. È lo stesso sistema internazionale ad accelerare il cammino verso il disastro. Non solamente, come è ovvio, perché le strutture di governo basate su accordi fra Stati sovrani, ciascuno con i propri interessi di breve periodo e le proprie gelosie, appaiono sempre più incapaci di affrontare comunemente una sfida planetaria di questa portata. Ma perché proprio il sistema degli Stati nazionali produce una folle rincorsa alla ricchezza e al potere che rende le nostre società e il nostro concetto di sviluppo tragicamente dipendenti dalla distruzione del mondo”.
La distruzione del mondo. È giusto riflettere con adeguata cura e lentezza su queste parole. Non possiamo e non dobbiamo lasciarle scivolare via frettolosamente come i troppi slogan da cui siamo bombardati quotidianamente. Il punto è questo: fermarsi a riflettere e combattere prima di ogni altra cosa contro la tendenza alla disinformazione. Comoda per chi la impone e la nutre, perché gli consente di lasciare le cose come stanno, conservando poltrone comode e lussuose, e comoda anche per chi la subisce, per chi la ingurgita come un pastone insapore che però riempie lo stomaco e consente di dedicarsi a cose più lievi, più effimere, pensieri usa e getta.
La posizione di Marsili è chiara, ben definita, appassionatamente esposta e sentita dal profondo delle sue convinzioni. Ma, è giusto ripeterlo, non si ha mai l’impressione di addentrarsi in discorsi deliberatamente avvolti da una di quelle foschie artificiali e artificiose tipo set cinematografico anni Cinquanta. Marsili (ed è questo uno degli aspetti di maggior rilievo del libro), le nebbie, semmai, tende a diradarle, a dissolverle. Espone parole che spesso sono cose, dati di fatto, anche nel senso letterale del termine. Attinge a piene mani alla Storia, ai discorsi registrati e trascritti degli uomini di stato, dei leader, dei ministri, di chiunque si sia trovato, in vari secoli, ad avere in mano le leve del potere, della programmazione economica e sociale, delle scelte fondamentali per le nazioni, i popoli, e il pianeta. Quel “mondo intero” che torna, ineluttabile, davanti ai nostri occhi e sulle nostre spalle di emuli involontari di Atlante.
Alcuni libri, saggi e romanzi ma non solo, descrivono il cataclisma, in atto o in potenza, ma lasciano che sia il lettore a identificare la causa o un possibile sbocco, una qualche soluzione. A seconda di chi legge verrà chiamato in causa il Fato (che gli antichi germanici consideravano non meno forte degli dei) oppure qualche forma di Provvidenza. Non è questo, per fortuna, che fa questo libro. L’autore si espone in prima persona, ci mette la faccia ed ha il coraggio non solo di evocare la parola Utopia ma di dichiarare che tale Utopia a ben vedere è una realtà ed è la sola strada praticabile, rebus sic stantibus.
La grande scommessa che abbiamo di fronte non è, solamente, quella di modificare un sistema economico e politico ingiusto, produttore seriale di miseria e ineguaglianza. Non è, semplicemente, quella di cambiare alla radice un modello di sviluppo che espelle sempre più persone dal diritto ad una vita degna e che sta portando il nostro pianeta al collasso. Ma è tornare a correre alla velocità della luce. È riuscire a inserire la politica, e la democrazia, dietro il dispiegamento delle ali del futuro. Dove si trova la radice di questo drammatico scarto di velocità? Si trova nella contraddizione fra una storia oramai mondiale e una politica rimasta ancorata alla dimensione nazionale. Ricucire lo scarto significa superare idee, pratiche e abitudini che ci trasciniamo dietro da centinaia di anni.
È questo il punto, il nocciolo del libro. Passare da una dimensione nazionale della politica e del pensiero ad una dimensione che vada oltre, che superi tali ristretti e ormai antistorici confini. A sostegno della sua tesi, nel punto culminante della sua esposizione, Marsili cita Ernest Bloch il quale in The Utopian Function of Art and Literature afferma che: “Ciò che si è perso […] è molto semplicemente la capacità di immaginare la totalità come qualcosa che potrebbe essere completamente differente […]. La mia tesi a riguardo è che ogni persona, nel suo profondo, che lo ammetta o meno, è cosciente che ciò potrebbe essere possibile o potrebbe essere differente. Non solamente che potrebbero vivere senza penuria e probabilmente senza ansia, ma che potrebbero anche vivere come uomini liberi. Ma al tempo stesso, l’apparato sociale si è indurito e ritorto contro le persone, e così, tutto ciò che appare ai loro occhi come una possibilità raggiungibile, come la possibilità evidente di una soddisfazione, si presenta a loro come radicalmente impossibile”.
Si inizia da questo assunto, da ciò che sembra, o che qualcuno vuole fare apparire, impossibile, per poi arrivare al coraggio del salto, dello scarto, della trasformazione. Nel contesto specifico, così come nel libro nella sua totalità, Marsili parte dal nodo fondamentale dell’ecologia per poi arrivare a considerazioni di respiro più ampio: “Superare gli ovvi limiti di un’azione esclusivamente nazionale a favore del clima significa in prima battuta costruire un movimento globale capace di cambiare il senso comune sulla crisi climatica. Per quanto importanti saranno le azioni che alcuni Paesi o l’Unione Europea nel suo complesso potranno prendere, sappiamo bene che i cambiamenti climatici non verranno risolti in un Paese, neppure nel più importante”.
Da qui, questo libro costruito tessera per tessera come un mosaico, o come un libro giallo di Simenon, giunge non solo a darci la visione d’insieme, svelando o ribadendo il movente, il delitto e i colpevoli, ma anche a suggerire uno scenario diverso possibile, ed è questo l’elemento di novità, il valore aggiunto.
Viviamo un momento storico particolare, in cui le categorie della modernità, prima fra tutte quella dello Stato nazionale, si squagliano dinnanzi ai nostri occhi. È un momento di incertezza, di insicurezza e di rabbia, come lo è ogni momento in cui sembrano mancare una direzione, un appiglio e un punto fermo. Ma è anche un momento di straordinaria opportunità.
Il momento in cui torna possibile iniziare un’altra storia e ricostruire un orizzonte di senso con un’ambizione una scala inimmaginabili dai tempi della Rivoluzione francese. La svolta cosmopolitica auspicata e abbozzata richiederà tempo, lavoro, risorse […]. Il concetto cinese di Yi-Wei, 意味, combina il carattere del significato e il carattere del sapore. Indica un senso, un’idea, una comprensione che si mostra non con la lucidità e la nettezza del pensiero logico ma con il progressivo dispiegarsi di un gusto nella bocca […]. Abbiamo raccontato una storia che inizia con Stefan Zweig nel 1914 e finisce oggi. È un periodo lungo? Forse. Ma tutto questo tempo è il tempo di una vita. Il 1914 è anche la data di nascita di mio nonno. Si è spento, a 104 anni, mentre scrivo la conclusione di questo libro. Volgere lo sguardo alle trasformazioni storiche che la sua vita ha attraversato getta nella grettezza del ridicolo qualunque tentativo di far credere che sia, oggi, impossibile cambiare questo mondo, questa globalizzazione, questa Europa. Se c’è un sapore, e un significato, che questo libro spero lasci, è quello della possibilità, della speranza e dell’ambizione. Non capiamo più il mondo. Benissimo. Abbiamo collettivamente raggiunto quello che in filosofia si chiama uno stato di aporia. E come Socrate ci insegna, è questo il punto da cui partire per ricostruire un nuovo senso e un nuovo mondo.”
Vedere allo stesso tempo le cose come sono, con gli occhi che abbiamo, e con la mentalità che ci hanno inculcato per anni, ma riuscire anche a vedere una prospettiva altra, già presente, già attuabile, per chi saprà guardare e pensare in modo nuovo, in un modo che già possiede, in quanto dotato di libero arbitrio e di umana capacità di dare attuazione concreta ad un sogno. Un sogno più vero del vero. È questo il percorso, e la meta, che Marsili addita e traccia.
Questo libro si nutre di questi ossimori. Chiede molto al lettore. Gli chiede di uscire dalle comode stanze con tanto di televisore sempre acceso e di cominciare a pensare in modo autonomo. Gli chiede di allenarsi ad attivare i muscoli da troppo tempo anchilosati della libertà di pensiero. Gli chiede di riporre le antiche categorie che con la scusa di sostenere i corpi in un rassicurante letargo in realtà li soffocano e li strangolano gradualmente: tramite il nazionalismo, politiche cieche ed egoistiche, coltivazioni di orticelli recintati con il filo spinato.
Questo libro chiede di mettere da parte tutto questo e di pensare in modo diverso. Chiede molto perché molto sa dare: una lunghissima serie di informazioni accurate, oggettive, verificate con attenzione, con cura, con dedizione. Offre uno spunto di riflessione che non ha solo una funzione filosofica, astratta. Ha un effetto concreto sul nostro di essere e di vivere, singolarmente e nell’ambito di quella comunità ampia e interrelata chiamata umanità. Per queste ragioni vale la pena leggere questo volume. Per poter fare una scelta informata, assumendosi la propria individuale responsabilità. Di modo che nessuno, dopo, possa dire “non lo sapevo, non ne ero al corrente”. Di modo che, dopo, nessuno possa dire “Non mi interessa, non è la mia nazione, non è affare mio”. Sì perché, è bene leggerlo, pensarlo, e persino cantarlo ancora una volta; “La mia patria è il mondo intero”.
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